DAL LIBRO: Il prologo son io. Faccio alle dame
Ed ai signori l’obbligato inchino,
Ed incomincio. Ambasciator non porta
Pena, dice il proverbio, ed io ripeto
Come un eco fedele quanto or ora
L’autor mi susurrò dentro l’orecchio.
Il personaggio dalla rea memoria
Che comparir vedrete innanzi a voi
[16]Non è già quel Nerone delle vecchie
Tragedie, una figura che spaventa
Con gli occhi, e lento incede sopra l’alto
Coturno, e fatti a suono di misura
Tre passi, dice una parola, anch’essa
Misurata e prescelta fra le truci
Di nostra lingua. Il mio Nerone—io dissi
Mio perchè sono il suo buffone—è un’altra
Cosa, egli è lieto sempre e buono mai.
Ei volontier frequenta co’ ghiottoni
La taverna, è cantor, pugillatore,
Scolpisce, guida cocchi, e fa il poeta;
È qual insomma lo si ammira vivo
Emerger dalle pagine immortali
Di Svetonio e di Tacito.—Nerone
Era un artista, al contrario di tanti
Altri Neroni di recente data
Che furon la più brutta negazione
E d’ogni arte e di Dio—Qui mi permetto
D’aprire una parentesi, dicendo
Che per l’Italia nostra fu ventura
Che un galantuomo Re dal Campidoglio,
Reso di nuovo italïana rocca,
Lacerasse, e sperar giova per sempre,
La lunga lista de’ pigmei tiranni
Più buffoni di me, grètte e derise
[17]Parodìe di Tiberi e di Neroni—
Quanto allo stile e al modo di condurre
Le scene, credo che l’autor s’attenne
A quella scola che piglia le leggi
Dal verismo e, stimando che in ogn’arte
Sia bello il vero, bandì dalla scena
Il verso ch’à romore e non idea,
Pago se potè trar voci ed affetti
Dal lirismo del cuore.
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