Dal libro: Le due care donne, che in seguito alla perdita della bella casa di Caravaggio si erano ritirate nel piccolo paesello delle prealpi bergamasche, non tardarono a trovarvisi bene e ad invitarmi a passare un mese con loro. Fu un'oasi benedetta. È ben vero che, non essendo io più una bambina, la nonna non poteva prendermi come una volta sui ginocchi, nè io stessa compiere carponi attraverso le sedie del salotto quel viaggio le cui stazioni erano l'Etna o Mongibello e l'arlecchino fermausci cogli occhietti di vetro; l'arlecchino anzi non c'era più. Ma la zia Carolina era sempre così dolce, così sorridente, e allora più che mai, portando nel cuore la gioia del suo fidanzamento con un nobile piemontese, ufficiale nell'esercito liberatore. Oasi di pace Caprino, che lasciò nella mia mente un ricordo indelebile! Fu a Caprino che vidi per la prima volta le montagne, e fu là che incontrai la più cara, la più fedele delle amiche. Io vi godevo inoltre un poco di quella libertà, che fu in ogni tempo uno de' miei bisogni più ardenti, così male soddisfatto in casa mia, dove non ero libera neppure alla notte. In fondo alla vallicella che sottostà al paese, scorre un torrente detto la Sonna, nelle cui acque la servetta della nonna andava a sciacquare i panni. Quando ella infilava il braccio nel paniere della biancheria e la zia Carolina mi diceva: — Vuoi andare anche tu? — esultavo. Si capisce che insieme a quella ragazza era come se fossi sola. Correvo, cantavo (falso), recitavo versi, coglievo erbette sconosciute; una fronda, un sasso, un movimento delle acque, il salto di una cavalletta, l'iridescenza di una farfalla, l'andare religioso delle formiche in fila, silenziose monachine brune, mi riempivano di sensazioni nuove. Non ero mai stata come allora in diretto contatto colla natura; ad ogni passo facevo qualche scoperta; e la gioia di sentirmi libera in mezzo all'aria, libera sotto il cielo, conferiva alle mie membra una leggerezza alata che mi portava in alto; sollevavo le braccia come per un volo e gridavo forte: — Dio! Dio! — per udire il suono della mia voce, per fissarlo nell'eco della valle. Tempo di primavera e quindici anni.... I sentieri laggiù erano sempre deserti, ma già l'amoroso fantasma dei sogni giovanili batteva alla porta suggellata del mio cuore; esso mi seguiva ancora senza volto e senza nome, col misterioso potere del profumo che annuncia la vicinanza del fiore. Non amavo; eppure pensieri d'amore mi attraversavano la mente e mi turbava in modo dolcissimo il sapere che a poca distanza dalla Sonna scorreva parallelo un altro torrente chiamato Sonno e che entrambi dopo quella corserella «in vicinanza coraggiosa e monda» si riunivano sotto l'arco di un ponte, altare e talamo, per uscire dall'altra parte, fusi in un torrente solo. — Come tutto ciò è bello, nevvero? — chiedevo alla zia Carolina e la zia Carolina con una sua intima letizia rispondeva di sì. È passato mezzo secolo e tanti dolori insieme e tanti disinganni; ma se chiudo gli occhi rivedo Caprino in un raggio di sole.
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