Ma tra gli antichi Scrittori a noi pervenuti, Plinio è quel solo, che ha parlato più estesamente di questa merce, nell’undecimo, duodecimo, e decimoterzo capitolo del decimoterzo libro della sua Storia naturale. Di questi tre capitoli è forza imprendere una minutissima analisi, non solo con filologica, ma forse anche grammaticale discussione.
Prima però è di bene premettere che nessun linguaggio è tanto difficile ad interpetrare con esattezza quanto quello degli Scrittori di un’arte qualunque, perchè in essi la tecnologia non è gran fatto precisa nei significati, lo che diversamente avviene negli Scrittori di belle discipline. I primi dovendo esprimere un meccanismo, sono astretti ad impiegare parole volgarizzate dall’arte stessa, che trattano, e quindi una voce usata in una spiegazione meccanica non conserva poi lo stesso significato, tostochè viene traslocata anche per analogia. Coloro che han percorso Vitruvio, Frontino, Vegezio, Varrone, Columella, Plinio, ed i Latini trattatisti, sentiranno molto avanti in questa verità. Nel nostro caso le voci charta, tabula, papyrus, philyra, biblus, liber, senza attaccarci per ora all’etimo loro, furono adoperate indistintamente da’ Latini scrittori per denotare qualunque superficie scritta, come da noi col nome tavola intendesi una pittura, uno scritto, un documento dimostrativo, una tavola da mangiare, una incisione ec.; e per volume un libro legato, un rogito di notajo, un ruolo di carte avvoltate, una massa di un solido.
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